Continua la nostra rubrica “Terza Età, istruzioni per l’uso” a cura del Dottor Francesco Loretucci, oggi un focus sulla comunicazione nella relazione di cura, tra il volontario e l’anziano.
Poiché uno dei compiti del volontario o del caregiver che offre il suo tempo nell’assistenza dell’anziano è quello della relazione con il soggetto, è importante evidenziare quali siano gli elementi primari che ci permettono di impostare una buona comunicazione che si possa configurare come aiuto concreto al bisogno dell’assistito. Da sempre l’uomo ha il bisogno di comunicare con gli altri per scambiare idee, informazioni, emozioni o per mantenere rapporti con l’ambiente sociale e professionale. Questa esigenza si è accresciuta al giorno d’oggi quando anche gli scambi comunicativi tra persone, nei tradizionali ambiti di vita comune, ad esempio la famiglia, sembrano diminuire. Si sprecano molte parole ma il dialogo è scarso. Per questo motivo nascono sempre nuove forme di scambio di informazione ( Facebook, Instagram, WhatsApp….). Comunicare è maggiormente fondamentale nel tempo della malattia e della vecchiaia di fronte ad una impostazione sanitaria che ritiene primari gli aspetti organici trascurando quelli relazionali ed emozionali. Che l’anziano da assistere si senta solo e ne soffra, che sia in preda al panico e all’angoscia della solitudine questo non sempre interessa alla medicina. Lo scambio di informazioni tra il volontario e l’anziano riveste quindi per il malato il ruolo di drenaggio emotivo attenuandone l’aggressività, l’isolamento, la depressione e la passività. Per queste ragioni una delle esigenze più pressanti del paziente è una migliore comunicazione con il medico, con l’operatore sanitario e con il volontario che lo assiste.
La comunicazione si manifesta mediante due sistemi espressivi:
Verbale e non Verbale
La comunicazione verbale ha come centro la parola: il bambino apprende facilmente a parlare. Tutta la vita di ogni uomo è intessuta di parole. Nella comunicazione quotidiana trasferiamo notizie, ricordiamo degli eventi, scambiamo emozioni ed opinioni. Nella comunicazione con l’anziano, specie se fragile, dobbiamo andare oltre per giungere ad uno scambio empatico o scambio di sentimenti perché solamente in questo modo possiamo comprendere il suo bisogno di aiuto. L’empatia è il grado più intimo e profondo raggiungibile dalla parola e riveste una “valenza terapeutica” di fronte a procedimenti diagnostici e terapeutici che hanno il compito di alleviare solamente il dolore fisico. Fino a quando la parola del volontario o del cargiver non è in grado di creare un clima che favorisca lo scambio di sentimenti con il suo assistito di lui conosceremo molto poco perché nessuno si è autenticamente aperto agli altri.
La comunicazione non verbale
E’ meno conosciuta ma è altrettanto importante nel processo relazionale. L’importanza del suo aspetto si basa sul fatto che gli aspetti comportamentali sono più istintivi che logici. La comunicazione non verbale mostra la contraddizione tra i sentimenti e il razionale. Rivela la congruenza o meno con quello che la parola afferma e l’autenticità del messaggio comunicato. In sintesi quando la parola maschera o inganna il corpo fornisce indizi di verità. La comunicazione non verbale si manifesta con atteggiamenti complementari a quella verbale e al contesto relazionale nel quale si svolge. Ad esempio: la gestione degli spazi fisici (la distanza tra sé e gli altri), la instabilità della postura (posizione degli arti superiori o inferiori, dondolio), la contrazione muscolare del volto (irrigidimento mascellare, fuga dallo sguardo, deglutizione), il toccamento di determinate parti del corpo (frontale, occipitale, auricolare, naso, polso, dorso della mano..), l’uso di oggetti ( giocherellare con un anello o con una penna , toccarsi la collana, giocare con la cravatta). Questi gesti, per lo più involontari, rinforzano o rinnegano le affermazioni che vengono espresse verbalmente. Sarà quindi tramite l’ascolto della parola, l’attenzione alla prossemica, che studia lo spazio o le distanze come fatto comunicativo che l’uomo tende a interporre tra sé e gli altri, e alla comunicazione non verbale che il volontario entrerà in un contatto fattivo con l’anziano che assiste.
Elementi per comunicare con l’anziano
L’accoglienza
E’ la fase preliminare della comunicazione. Accogliere l’altro significa riconoscerlo come un essere umano unico e irripetibile. Spesso l’anziano non aspetta unicamente chi fa dal lato clinico perché è consapevole che a livello sociale o terapeutico è impossibile fare di più. Aspetta chi è disponibile a interessarsi della sua personalità dove sono presenti le sue paure e le sue ansie.
Ascolto
In ogni comunicazione, uno dei fattori principali è l’ascolto: attenti a quello che l’altro dice ma anche a “come lo dice”. Questa capacità è difficile da esercitare non essendo più abituati ad ascoltare assorbiti da una quotidianità frenetica ma anche perché l’ascolto è influenzato da diversi fattori disturbanti: le preoccupazioni personali, il desiderio di offrire immediatamente delle risposte, la paura di un coinvolgimento emotivo… Ascoltare è esserci, è presenza. Infatti la solitudine nasce non perché si vive da soli ma perché pochi sono disposti ad udire e aiutare.
Non giudicare
Giudicare ed etichettare reprimono la comunicazione oltre che bloccare ogni relazione. A volte emettiamo giudizi anche se possediamo pochi o frammentari indizi. In ambienti circoscritti quali le R.S.A la persona è spesso etichettata per un lungo periodo anche se si sforza di modificarsi o si rivela migliore. Con questo atteggiamento che denota la paura del confronto e la capacità di abbandonare il proprio punto di vista è impossibile gestire una valida relazione.
La relazione di aiuto
Si può definire relazione di aiuto quel tipo particolare di relazione tra un volontario, un caregiver, un parente, ed una persona in cerca di aiuto che ha come scopo attraverso l’uso di tecniche appropriate la crescita dell’assistito a livello personale ed interpersonale. La caratteristica fondamentale è quella di “una relazione non direttiva ma centrata sulla singola persona”. Questa metodologia evidenzia l’importanza della formazione del volontario o del caregiver per favorire il passaggio da un puro volontarismo all’uso di tecniche educative-relazionali attraverso le quali la persona stessa che desidera aiuto impari a prendersi autonomamente in carico. Questa formazione è caratterizzata da tre atteggiamenti personali indispensabili.
a) La spontaneità o genuinità del volontario o del caregiver intese in senso costruttivo, come impegno ad essere sempre se stessi senza rifugiarsi nel ruolo ponendo in atto barriere difensive.
b) L’accettazione incondizionata e la considerazione positiva dell’altro e di conseguenza l’impegno a non formulare giudizi personali fino a quando non si è compreso il problema.
c) La comprensione empatica definita come la capacità di mettersi al posto dell’altro e di vedere il mondo come lui lo vede.