Terza Età, Istruzioni per l’uso: La qualità della vita dell’anziano
Terza Età, Istruzioni per l'uso: La qualità della vita dell'anziano – Ada Nazionale
Dal punto di vista biologico si tende a considerare l’invecchiamento come un processo involutivo-degenerativo caratteristico di una fase della vita caratterizzata per essere deficitaria e portatrice di patologie. Queste considerazioni si prestano a rilievi critici in relazione all’impossibilità di precisare su base clinica l’inizio dell’età della vecchiaia e la variabilità dei fenomeni biologici che sono alla base dell’invecchiamento. Gli studi sull’invecchiamento psichico effettuati negli anni 50 e 70 dello scorso secolo sembravano convalidare l’immagine della vecchiaia come una fase caratterizzata solamente da sentimenti di perdita, di decadenza e della crescita di patologie, confrontando non scientificamente corretto le performance dei ventenni con quelle dei settantenni. Dagli anni 80 in poi altre ricerche statisticamente validate hanno portato a rivedere le concezioni che consideravano la vecchiaia solo in termini negativi. Questi studi condotti con il metodo longitudinale, attraverso test psicologici e clinici sulle stesse persone, per una serie prolungata di anni hanno dimostrato che:
a) Il peggioramento di alcune funzioni psichiche, intellettive e affettive è legato principalmente ad avvenimenti “sociali” che incidono nelle vita di ciascun individuo quali il pensionamento, la disgregazione della propria struttura familiare, l’emarginazione e la istituzionalizzazione. Tale peggioramento è connesso anche ad eventi personali quali la malattia o morte di un coniuge, di un familiare o a dissesti economici.
b) La diminuzione con l’età non riguarda tutte le prestazioni dei soggetti: cosi alla riduzione della rapidità senso-motoria può corrispondere il miglioramento della precisione e dell’accuratezza; dalla riduzione della memoria a breve termine la conservazione ed incremento di quella a lungo termine inoltre l’efficienza intellettiva può continuare a progredire con l’età diventando più lenta ma più riflessiva.
c) Lo stato di salute tende logicamente a peggiorare con l’età e con il passare degli anni cambia anche il vissuto nei riguardi della propria malattia. Mentre il giovane vive la malattia come un corpo estraneo da combattere e da espellere, l’anziano la vive come un elemento legato strettamente alla propria persona che invecchia.
d) La psicopatologia dell’anziano è accentuata dalla psichiatrizzazione adottata frequentemente nei suoi confronti.
e) L’insorgenza di disturbi psicopatologici è influenzata oltre che da fattori genetici, dal sesso, dall’ambiente di vita, dalla classe sociale di appartenenza e dal livello culturale raggiunto.
La vecchiaia si manifesta quindi attraverso modificazioni del comportamento che solo in parte si possono rilevare in tutti gli individui, ma che in certi aspetti particolarmente significativi presentano una notevole diversità sia nella qualità dei fenomeni, che nell’epoca della loro comparsa e nel loro andamento. L’anziano non esiste come un individuo definibile sulla base di caratteristiche comuni. Risulta evidente l’estrema variabilità rilevata in persone cronologicamente anziane. Gli studi ci portano ad affermare che il processo di invecchiamento non si può definire solo in termini intrinseci con riferimento cioè a modificazioni che con l’età intervengono nell’individuo, la vecchiaia si presenta come un processo interazionale che rappresenta il rapporto in ogni momento presente tra ciascun individuo ed il mondo a cui appartiene. La variabilità tra individui che hanno superato gli anni della pensione è ancora maggiore quando si esamina l’invecchiamento psichico. Prendendo in considerazione un gruppo di coetanei di età avanzata si possono infatti trovare individui psichicamente sani ed attivi socialmente ed individui fortemente depressi. Come il concetto di invecchiamento sia nel versante clinico che psichico si è andato modificando negli ultimi anni, così le nuove necessità preventive, terapeutiche ed assistenziali andrebbero pianificate. Se la psicologia per quanto di sua competenza ha identificato in modo esauriente i fattori che stanno alla base della possibilità di invecchiare nel modo migliore, la sanità pubblica, specie in campo geriatrico, ha realizzato pochi progetti che rendono per tutti tale modo buono di invecchiare. La prevenzione del decadimento psicofisico dell’anziano deve essere finalizzata prevalentemente a ridurre la sfera delle attività che per disuso vanno progressivamente esaurendosi poiché in tale modo è possibile salvaguardare l’autosufficienza del soggetto rinforzandone la capacità di autodeterminazione. Ciò può trovare attuazione in programmi di ampio respiro inerenti il maggior inserimento degli anziani nelle vita produttiva nella comunità dove vivono (programmi differenziati di pensionamento, di volontariato, di impiego part-time, università della terza età, riconsiderazione della tradizione, della capacità artigianale, del ruolo dei nonni e dell’educazione dei giovani). Da un lato quindi programmi precisi e dall’altro programmi adattabili ad persona essendo assurdo teorizzare anziani con caratteristiche tutte uguali. Tale approccio favorendo una interazione tra società ed anziano aumenta in quest’ultimo l’autostima e la fiducia in se stesso contribuendo al miglioramento del suo benessere psico-fisico.