di Francesco Loretucci
(Docente di Psicologia Generale in convenzione presso la Sapienza Università di Roma)
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di degenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio presenile. L’OMS certifica che oltre 55 milioni di persone convivono con questa patologia che rappresenta una delle principali cause di non autosufficienza tra gli anziani. Nel report della Lancet Commission pubblicato nel 2024 conclude che circa il 50% dei casi di Alzheimer potrebbe essere evitato agendo a livello preventivo su 14 fattori di rischio quali ipoacusie, bassa istruzione, depressione, perdita della vista, inattività fisica, diabete, abuso di alcool, ipertensione, ipercolesterolemia, fumo, obesità, traumi cranici, inquinamento atmosferico ed isolamento sociale.
In Italia, secondo l’Osservatorio Demenze, i malati di Alzheimer sono circa 600.000, coinvolgendo nel loro sostegno circa 3.000.000 di persone. La ricerca medica sviluppa nuove terapie lavorando principalmente sull’individuazione dei marcatori della malattia che permettono di effettuare diagnosi precoci. Una particolare attenzione va riservata al sostegno da fornire alle famiglie. Pesa su di loro un costo sociale elevato, mancando punti di riferimento sul territorio nazionale, ad eccezione di quelli sostenuti dalle associazioni dei pazienti. In riferimento al problema sociale sono nati da qualche anno, e stanno crescendo costantemente di numero, centri di aggregazione per problemi legati alla malattia denominati “Caffè Alzheimer”. I locali sono generalmente ospitati in centri sociali, in parrocchie, in circoli culturali o sedi di associazioni di volontariato. L’accesso è libero e può essere promosso attraverso i servizi socio sanitari delle Asl. I “Caffè Alzheimer” nascono come centri nei quali è possibile promuovere e coordinare attività socio-sanitarie per condividere i problemi derivanti dalla malattia alleviando il peso dell’assistenza h24 per i familiari. I lavori svolti variano dall’attività fisica quali la ginnastica dolce, yoga, thai ci, a quelli ricreativi quali disegno, pittura, teatro e musica. Nelle strutture inoltre gli psichiatri ed i psicologi svolgono con i pazienti attività mirate al potenziamento cognitivo valutando gli eventuali miglioramenti e modulando le terapie alle condizioni del singolo.
Questa attività terapeutica dimostra come i centri non svolgano una semplice attività di parcheggio dei pazienti ma contribuiscano alla loro cura diminuendo i sintomi depressivi sia per il malato che per i parenti che li assistono. I “Caffè Alzheimer” sono nati nel nord Europa negli anni 80 del Novecento e sono iniziati ad attivarsi in Italia nel 2008 su iniziativa del professor Marco Trabucchi. Attualmente in Italia sono presenti 50 “Caffè Alzheimer”. Essendo i costi della gestione strutturale non molto alti, attingendo al Fondo Alzheimer nazionale e al Fondo Sanitario in breve tempo si potrebbe arrivare a istituirne una decina a regione. Ultimamente per avere fondi per la loro costituzione la Fondazione Maratona Alzheimer ha scritto alla Presidente del Consiglio sollecitandola ad inserire i “Caffè Alzheimer” nella rete dei servizi territoriali e sanitari. Le associazioni di volontariato, per la loro conoscenza del territorio dove operano, possono essere gli attori principali utili ad incrementare la loro presenza in Italia.